Non so perchè devo scrivere questo.
<Su quale carro può essere trasportata la parola se non c’è la strada su cui il carro può andare?>
Mi sento così, spesso, intimamente.
Rinchiuso in una sorta di gabbia-monade.
Non sto male con me stesso. Ci convivo e spesso persino mi diverto.
Ma mi trovo a cercare carri, in un sacco di posti.
Nei rapporti politici, pure.
Nelle relazioni di amore.
Mi piacerebbe che intorno a me le persone fossero serene e che a loro piacesse scoprire le infinite varietà della vita e dell’esistenza, e anche, ed ecco il nodo, avessimo piacere a raccontarci e comunicarci ciò che abbiamo visto e sentito.
Ma quante vite ci vorrebbero?
Tuttavia il problema non è del numero di vite necessarie a godersi la varietà delle costanze.
La sola possibilità di comunicazione reale, è data dalla possibilità che la struttura delle cose che si vogliono comunicare sia in qualche modo similmente rappresentata nella struttura dell’altro a cui “comunichiamo”.
Il come quella struttura si sia creata e sia concretamente realizzata non è quello che qui mi interessa.
Oggi, mentre ero in bagno al lavoro (ancora è permesso andarci durante l’orario di servizio), ho visto per terra un piccolo geco.
Mi sono meravigliato. Era fermo, per terra, vicino al muro, dove poteva essere calpestato facilmente. Per un po’. Poi ho visto che provava a salire sul muro di mattonelle. Ma scivolava. Per terra acqua (improbabile). Ho pensato che sarebbe molto presto probabilmente morto.
Mi chiedevo come fosse entrato. … Dal muro esterno fuori e poi dalla finestra, prova a scendere, scivola ed è rimasto intrappolato.
Ho mosso il mio piede per allontanarmi da lui. Non volevo, per sbaglio, pestarlo. Mi piacciono i gechi. Lui era (è) piccolissimo. Non più di due centimetri coda compresa.
Inaspettatamente lui si avvicina alla mia scarpa e poi si infila sotto! Cazzo.
Con attenzione, sollevo il piede e lo sposto molto più in là. Incredibile. Dopo due secondi, quello si muove e di nuovo si infila sotto. Aspetto.
Poi tolgo il piede da lui e, tenendolo d’occho, concludo la mia presenza nel bagno.
E’ cominciata una lunga riflessione sulla vita e la morte, (che vi risparmio) e insomma ho concluso che la cosa migliore fosse portarlo a casa mia dove sul terrazzo balcone del 5 piano tra i vasi già ne ho visto qualche volta uno (Fiodor Fiodorovic).
Ho svuotato la piccola scatola dei filtri per sigarette, e poi sono tornato subito nel bagno. Dopo un tentativo, andato fallito, di spingerlo nella scatola stimolandolo da dietro con un pezzo di carta, lascio la scatola per terra. E aspetto.
Dopo pochi secondi lui entra dentro.
Conclusione.
Ho appena liberato Petr Petrovic tra gli ultimi resti dei nostri orgogliosi pomodorini. Spero di rivederlo. O rivederla? Nel caso si chiamerà Petra Petrovna.