Adesione all’appello di Diritto alla Rete contro il DDl alfano che imbavaglia la Internet italiana.
Vanunu scrive al Comitato del Premio Nobel per la Pace.
Ricevo dal mio amico Akiva Orr in Israele, una segnalazione con invito a diffondere questa lettera di Mordechai Vanunu al Comitato per il Premio Nobel. Lo faccio volentieri, con l’augurio di rompere il muro di silenzio intorno alla figura e a alla vicenda di questo eroe della pace e del libero pensiero.
Gerusalemme est occupata, 1 marzo 2009
Mordechai Vanunu ha scritto al Comitato Premio Nobel per la Pace a Oslo.
Cortese Comitato Premio Nobel per la Pace a Oslo,
sono Vanunu Mordechai, che è stato candidato molte volte per il Premio Nobel per la Pace, anche a quello di quest’anno 2009.
Chiedo al Comitato di rimuovere il mio nome dalla lista dei candidati.
La ragione di ciò è che non posso fare parte di una llista di vincitori che include Simon Peres.
Egli è stato colui che stava dietro la politica atomica di Israele.
Peres ha instaurato e sviluppato il programma atomico a Dimona in Israele. Esattamente come il dott. Khan ha fatto in Pakistan. Peres è stato l’uomo dietro la proliferazione delle armi atomiche in Sud Africa e altri stati. Egli è stato anche, per esempio, detro al test nucleare in Sud Africa.
Peres è stato l’uomo che ha ordinato il mio rapimento a Roma in Italia il 30 Settembre del 1986 e il processo, a porte chiuse e segretato, nel quale ho subito una condanna come spia e traditore a 18 anni di prigione in isolamento.
Ancora oggi continua ad opporsi alla mia libertà e al mio rilascio, a dispetto della mia piena espiazione della condanna a 18 anni.
Per tutte queste ragioni non voglio essere candidato e non accetterò la mia candidatura.
Dico no a qualsiasi candidatura finchè non sarò libero, cioè finchè io sarò obbligato a restare in Israele.
QUELLO CHE VOGLIO E’ LA LIBERTA’ E SOLTANTO LA LIBERTA’
Grazie.
Segue il testo originale della lettera di Mordechai. Continue reading »
In questi tempi di “reality” è ormai diventata usuale l’espressione “pubblico sovrano”, con ciò intendendo che sono i telespettatori col loro televoto a decidere delle sorti di questo o quel ‘protagonista’ televisivo.
“Pubblico sovrano”, è una specie di interessante ossimoro.
E’ un ossimoro perchè pubblico è = popolo passivo. Il pubblico guarda. Al più applaude o fischia. Uno del pubblico non può essere votato, nè può proporre qualcuno dall’esterno, nè può proporsi come candidato a miglior cantante. La sovranità si limita al voto, a decidere chi deve vincere. Il che la dice lunga su a che cosa si sia ridotto il concetto di sovranità, nel linguaggio e nel pensiero comune: alla semplice scelta di chi deve comandare.
Però è interessante ( o forse preoccupante) che da qualche tempo se ne faccia uso costante. E’ interessante perchè la gente dello spettacolo, e in generale diciamo le forme d’arte, anche popolare, sono sensibili agli umori, a ciò che agita nel profondo la società in cui sono immerse. Anzi più popolare è l’arte più è sensibile agli umori, ai sentire del popolo. E allora, anche se confusamente, questo richiamo al popolo sovrano, pur nella ignoranza e anche nella pericolosità della sempificazione e nella rozzezza dell’ossimoro “pubblico sovrano”, è un indizio che l’esigenza di contare, di determinare, di non essere solo passivi è forte. E il richiamo ad esso funziona. La gente, addirittura, paga per votare.
Certo non è espressione di coscienza politica o dei propri diritti. E c’è il rischio che il concetto di sovranità venga trasformato in un messagio populista e plebiscitarista. Ma per me è un segnale di un bisogno che si diffonde. Non mi spingerei a dire che il largo uso del “pubblico sovrano” sia programmato per depotenziare la carica eversiva (!) della richiesta di partecipazione e di reale democrazia che noi chiamiamo democrazia diretta. No, piuttosto la bilancia per me pende dal lato positivo. Sta a noi evidenziare la differenza. Senza puzze sotto il naso.
Ora però questo uso sproporzionato, improprio, del concetto di sovranità, è occasione per qualcuno di attaccare tout court i concetti della democrazia diretta sulla base dell’osservazione che la massa è ignorante.
Si parte dalla considerazione che: “se dovessimo giudicare la qualità di un musicista dal numero di copie vendute dovremmo giungere alla conclusione che ramazzotti è meglio di Jaco Pastorius (jazzista), perche vende di piu, …” e si arriva a criticare l’idea di un popolo che si autoverna perchè esso non è in grado di farlo in quanto incompetente, ignorante. Come il pubblico, il popolo, è somaro.
Cominciamo col dire che è ovvio che la canzone più votata (o più acquistata) non sia necessariamente la più bella musicalmente parlando, ma semplicemente quella che piace al maggior numero di persone. Per altro se non si vuole avere un atteggiamento snobistico, occorre riconoscere che nemmeno è detto necessariamente il contrario.
Questo, traslato al tema del governo dd evidenzia semplicemente una verità: la dd non può garantire la migliore delle scelte. Ma quale governo può? Nessun sistema di governo può garantire le scelte migliori o le scelte più giuste.
Ricordo su questo tema il fondamentale testo di Akiva Orr che chiarisce mirabilmente la differenza tra decisioni e conclusioni.
Per altro qui non parliamo neanche di conclusioni che poi possono essere contestate scientificamente, o da un evoluzione che mostra che erano sbagliate, ma proprio di giudizi fortemente personali e opinabili: chi l’ha detto che pastorius sia meglio di ramazzotti? A me piace anche leone di lernia… e allora? Fortunatamente io posso sempre comprarmi i dischi di Pastorius. Ma che dire allora del fatto che nessuna casa discografica ha mai inciso dischi sulle partiture di Luigi Russolo? E che probabilmente pochi di quelli che comprano dischi di Pastorius l’hanno mai sentito nominare? Forse la sua musica vale di meno di quella di Pastorius? Forse tra 100 anni molti o tutti concluderanno che Russolo era un genio incompreso e che ha aperto la strada alla musica contemporanea del 2109. Resta il fatto che solo allora il “pubblico sovrano” deciderà di dargli un premio (alla memoria).
Però è interessante che dopo 200 anni dalla nascita delle prime democrazie moderne periodicamente si ritorni a questo argomento di discussione: il popolo non sa o non saprebbe governarsi; il popolo non ha la competenza necessaria a governarsi; il popolo è sostanzialmente “somaro”.
E alla parola “popolo” potete dare l’estensione che vi pare.
Perchè, ricordo, che per “popolo” non si è mai inteso la totalità degli esseri umani che compongono la comunità. Prima gli ateniesi escludevano donne, meteci e schiavi e alcune altre categorie. E nel corso dei secoli quando anche alcuni tentativi di democrazia si sono messi in piedi, e dalla rivoluzione francese e americana in poi, sempre si sono escluse categorie.
Chi non possedeva terra. Chi non pagava le tasse. Chi non aveva la pelle bianca. Chi non sapeva scrivere. Chi non era maschio…. La ragione era sempre che non avevano la competenza o la saggezza necessaria, o l’interesse a governare.
Curiosamente (?) la questione della competenza viene posta nella quasi totalità dei casi da parte di chi ha già il potere verso quelli che lo richiedono, o da parte di chi crede di avere quella competenza in quanto possessore di quella particolare caratteristica verso quelli che quella caratteristica non la possiedono.
I nobili verso i borghesi che erano semplici possidenti senza lignaggio. I borghesi possidenti verso chi non aveva terre o mezzi e non poteva pagare tasse. Gli uomini dalla pelle bianca verso quelli con un altro colore. I maschi verso le femmine. Gli acculturati verso gli analfabeti… gli anziani verso i giovani.
Sfugge a tutti questi che il diritto all’autodeterminazione è un diritto che spetta semplicemente a tutti coloro che individualmente sono capaci di essere responsabili della propria vita.
Come individuo, io sono membro di una comunità in quanto rinuncio a una parte del diritto ad autodeterminarmi in maniera assoluta, e accetto di regolare la mia vita secondo le decisioni e le regole della comunità. Ma la vita è la mia e come tale ho il diritto a contribuire a determinare la gestione di quella parte che ho messo in comune, come chiunque altro che abbia fatto la stessa rinuncia a favore della comunità.
La mia responsabilità verso la mia vita non dipende dal fatto che io sia intelligente, ricco, bianco o nero o donna. Ma semplicemente dal fatto che la vita è la mia e nessuno si fa responsabile per me di quella.
In questo senso le eccezioni rigurdano solo proprio questo aspetto. Un bambino piccolo “dipende” dai genitori. Ma finchè un minore non è responsabile, non solo non ha il diritto di decidere le regole, ma non ne ha neanche il dovere. O lo ha in maniera molto attenuata. Questo è l’unico tipo di eccezione che ha una logica non di dominio. Ovviamente lo stesso avviene per chi è incapace di intendere e di volere: perde i diritti poltiici, ma anche è trattato (o dovrebbe essere trattato) diversamente quando non rispetta le leggi. Non è responsabile.
E non importa che si usi un criterio piuttosto che un altro. Alla fine della fiera i criteri sono sempre relativamente arbitrari. Ciò che conta è che se uno è ritenuto responsabile della propria vita, allora come membro della comunità ha il diritto a decidere su quella. Così da determinare ciò che come gli altri dovrà sopportare.
Naturalmente questo è valido se uno non vuole che si affermi una logica di dominio. E quindi vuole una cosa che si chiama democrazia.
E allora se una comunità democratica è fatta da somari, quella comunità ha il diritto di fare scelte somare. Punto. E comunque è tutto da vedere.
Se invece qualcuno ritiene che i somari vadano pascolati per il loro bene, deve riconoscere che storicamente MAI un governo di “custodi” (o competenti o come vi pare a voi) ha fatto il bene dei somari.
Una cosa è sicura: poichè le decisioni non sono conclusioni, ho legittimamente deciso di mandare a cagare tutti quelli che si sentono politicamente superiori al “pubblico somaro”.
(*) Chiedo scusa ai somari, che a dispetto della corrente immagine negativa tra gli umani, sono invece animali nobili e tra i più intelligenti.
Zdanov, Andrej Aleksandrovič (Mariupol 1896 – Mosca 1948), uomo politico sovietico, partecipò alla rivoluzione del 1917, quindi assunse l’incarico di segretario del Partito comunista a Leningrado. Fu protagonista della feroce repressione scatenata da Stalin contro gli oppositori politici e sostenitore acceso delle epurazioni di massa nel partito. Teorizzò e praticò una linea di politica culturale di tipo dogmatico, che da lui prese nome (zdanovismo), che negava le libertà di ricerca e di pensiero e asserviva la cultura alle esigenze propagandistiche del regime comunista
(Tratto da Encarta.)
D’alia, Giampiero (Messina 1966 – ???? 20xx), uomo politico italiano, Presidente del gruppoUDC-SVP-Aut, Membro della Giunta per il Regolamento, Membro della Giunta delle elezioni e delle immunita’ parlamentari, Membro della2ª Commissione permanente (Giustizia). Membro del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa, Membro della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, Membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.
Sostenitore acceso delle epurazioni di massa in internet. Teorizza e pratica una linea di politica culturale di tipo dogmatico, che da lui prende nome (zdaliavismo), che nega le libertà di ricerca e di pensiero e asserve la cultura alle esigenze propagandistiche del regime berlusconiano
“Stessa faccia stessa razza” dicono i greci ai turisti italiani in vacanza. A guardare le foto qui sopra comincio a credere nella psicosomatica e persino nelle teorie lombrosiane. Continue reading »