Gen 152013
 

Caro sindaco Alemanno,
nei municipi di Roma democrazia e legalità sono facoltative e discrezionali?

Per le consultazioni elettorali in programma per i giorni domenica 24 e lunedì 25 febbraio 2013 ci sono diversi obblighi legislativi (Legge 43/1995) richiamati dalle circolari dalla Prefettura di Roma che invitano tutti i comuni ad attivarsi per permettere il corretto svolgimento dell’intero iter, ma da parte di vari municipi di Roma Capitale ancora troviamo un certo ostruzionismo verso le liste civiche senza santi in paradiso.

Raccogliendo riscontri dai sostenitori della lista RETE DEI CITTADINI che sta organizzando un’alternativa civica alle prossime elezioni regionali del Lazio a sostegno della mia candidatura come presidente, con rammarico devo evidenziare disorganizzazione ed ostacoli burocratici da parte di diversi municipi.
E’ evidente che manca la giusta formazione del personale sui doveri della pubblica amministrazione e sui diritti dei cittadini e, a quanto pare, anche i controlli sulla applicazione corretta della normativa.
Alcuni municipi lamentano carenza di risorse umane e tecnologiche per espletare il servizio “obbligatorio” in un’era dove una pratica potrebbe essere svolta online con il minimo dispendio di energie sia da parte del personale dell’ente che da parte dei cittadini.
Le richieste tramite la posta elettronica certificata spesso non vengono recepite.
Almeno in un caso (finora) per depositare i moduli è stato necessario addirittura l’intervento delle forze dell’ordine.
In un altro municipio è stata contestata la validità del modulo di candidatura scaricato dal sito della regione (!) pretendendone una totale riscrittura e una diversa formulazione.
Non sempre ci sono avvisi pubblici con l’indicazione degli uffici e relativi orari di apertura straordinaria e i cittadini che esprimono la volontà di sottoscrivere la lista vengono rimbalzati da uno sportello all’altro finché non vengono rintracciati i moduli per la raccolta firme.

Queste varie forme di ignoranza e disorganizzazione si traducono di fatto in ostruzionismo che agevola i partiti che hanno già una rappresentanza nella stanza dei bottoni. E’ forse per questo che mancano i controlli sul buon funzionamento degli uffici preposti e sulla corretta e completa applicazione delle norme?

RETE DEI CITTADINI chiede il ripristino della legalità e l’attivazione di quanto necessario per una maggiore efficienza della macchina amministrativa per agevolare la partecipazione democratica dei cittadini e la possibilità di sottoscrivere le liste presso tutti i municipi del Comune di Roma.

Al momento i cittadini che vorranno trovare il simbolo della lista civica RETE DEI CITTADINI sulla scheda elettorale potranno firmare soltanto nei municipi inseriti nella mappa http://www.retedeicittadini.net/blog/groups/rete-dei-cittadini-lazio-2013/docs/raccolta-firme-regionali-lazio-2013

Distinti Saluti,
Pino Strano, candidato alla presidenza Regione Lazio per RETE DEI CITTADINI

 Posted by at 01:13
Dic 182012
 

Su facebook è nato un gruppo chiamato:

Ce lo chiede l’europa? Invece di andare a votare: USCIAMO DALL’EURO-TRUFFA!!

L’ammnistratore del gruppo nella presentazione chiede: “Siamo populisti?”
Quello che segue è il mio commento.

No affatto. Però dimmi: dov’è la porta per uscire dall’europa?
Di là? O di qua?
Dilà? O perbacco! ma di là c’è il parlamento! Se non conquistiamo la rappresentanza politica, che è nostra, non usciamo da nessuna parte. E ancora più difficile: perchè la dobbiamo conquistare mandando rappresentanti veri, che funzionino come delegati democratici diretti veri, che rispettino i patti, ma che in ogni caso, come cittadini, dobbiamo tenere per le palle.

Non ci piace questa via? Non vuoi votare? Ok. Allora andiamo di qua. Acc.. ma di qua significa esautorare il parlamento, superarlo nei fatti, meglio se lo distruggiamo proprio, instaurare un governo rivoluzionario,… anche questo è possibile, ma siamo pronti a lacrime e sangue (più che altro nostro)? E soprattutto che ci mettiamo al posto di quel parlamento che distruggiamo? Si può fare, ma bisogna saperlo PRIMA di distruggere il vecchio. Se no è dejà vu: forche e ghigliottine per cambaire solo quelli che ci comandano…Ahh…, ma forse tu dicevi nessuna delle due. Dobbiamo spaventare i governanti che così faranno quello che gli diciamo…. beh allora vai avanti tu che a me viene da ridere.

In ogni caso l’obbiettivo della riconquista della sovranità monetaria è FONDAMENTALE. e hai ragione a metterci l’accento, però … riflettiamo,
non diamo il culo gratis.

Lug 052012
 

DD = Democrazia Diretta, ovvero potere esercitato direttamente da cittadini senza intermediazioni

DR = Democrazia Rappresentativa, ovvero potere delegato dai cittadini ai rappresentanti

questa è la visione “classica” della situazione.

Ma io la ritengo non corretta. Dico proprio dal punto di vista teorico e dal punto di vista della sostanza.

Quelle equazioni sopra riportate sono frutto di una interpretazione dominante comune, o di un luogo comune, ma, se si analizza bene cosa sta alla base dei concetti di DD, DR e D si può vedere che le cose non stanno proprio così.

Per esempio l’idea che DD significhi “potere esercitato senza intermediazioni”, è semplicemente sbagliata. Falsa. Infatti non è possibile nessuna espressione di volontà, e ancor meno uso del potere “senza intermediazioni”.

Leggasi in merito questo: http://www.pinostrano.it/blog/delega-e-dd-cosa-significa-laggettivo-diretta/

Comunemente  la nostra si ritiene una DR. Ma non è così. Infatti un sistema istituzionale dove i governanti non possono essere cambiati quando anche l’intero popolo non li vuole più, semplicemente non è una democrazia. perché la caratteristica di “potere del popolo” in realtà non è più attiva, è sospesa. Nè la sua attivazione dipende più dal popolo. Per farlo bisogna aspettare 5 anni, che piaccia o no. nel frattempo i governanti possono stravolgere ogni cosa dello stato, rubarsi i tuoi e i miei soldi, depenalizzare questo o quel reato da loro commesso, al limite che non vanno in galera neanche se uccidono tua moglie e i tuoi bambini etc etc… Un sistema istituzionale che non prevede la possibilità di cambiare le leggi fatte dai governanti, neanche se l’intero popolo lo volesse, non è una democrazia. La nostra DR in realtà si è giocata la D, poiché non prevede alcun mezzo attraverso il quale i cittadini possano su propria iniziativa modificare la delega e/o  le decisioni dei delegati.

La nostra, cosidetta “democrazia rappresentativa”, è in realtà semplicemente una Oligarchia Elettiva. E l’unico momento in cui i cittadini possono avere una possibilità di cambiare le cose, senza impugnare i fucili, è il giorno delle elezioni. Ma il fatto che si voti non significa affatto che il sistema nel suo complesso sia democratico. Se l’unica cosa che puoi fare è votare chi deve essere il tiranno, tutto si può dire, tranne che quello sia un sistema democratico.

La rappresentanza, o la delega è uno dei poteri che si possono esercitare. Come sovrano posso fare del mio potere ciò che voglio, compreso cederlo a qualcun altro se mi viene comodo, ma che sovrano sarei se non potessi riprenderlo non appena lo volessi? Quella sarebbe stata allora CESSIONE di sovranità. E questo è quello che ci accade con il voto, che esprime l’OBBLIGO di cedere la propria sovranità ai principi elettivi a lunga durata (i 5 anni della legislatura).

In democrazia (diretta)  la delega non è CESSIONE di sovranità. perché, idealmente, in ogni momento io devo poter recuperare il potere ceduto. Il referendum deliberativo rappresenta quindi il livello MINIMO che deve esistere per poter dire che un sistema è democratico, Rappresenta quel mezzo, almeno uno, che il popolo deve poter avere per ritornare sovrano senza chiedere il permesso ai governanti.

Non tutte le democrazie (che hanno almeno il livello minimo per potersi definire tali) sono uguali. Una democrazia può essere migliore (o più estesa) di un altra se i mezzi attraverso i quali il cittadino può esercitare la propria sovranità sono molteplici e flessibili e non costringono chi non volesse delegare mai a doverlo comunque fare. Per questo la democrazia (diretta) è una idea progressiva, non uno STATO da raggiungere una volta per tutte.

Tuttavia anche avendo tutti i mezzi per esercitare in ogni momento il potere di governare, se io, cittadino sovrano lo voglio fare, devo poter essere libero di delegare. Ovviamente senza mai perderne totalmente il controllo (quindi in forma sempre revocabile solo che lo voglia). Ma se per ipotesi io non lo volessi riprendere se non ogni cinque anni, e se per ipotesi anche tutti gli altri membri del popolo non lo volessero riprendere se non ogni cinque anni, ebbene allora avremmo un sistema “simile” all’attuale. per questo dico che la DR è in realtà un caso particolare di DD.

La democrazia diretta CONTIENE come possibilità la democrazia rappresentativa.

Quindi tutt’altro che dd “complemento” della dr. Quando si dice che il referendum di iniziativa e deliberativo (che spesso è tutto quello che si intende per democrazia diretta) è complemento della DR, si sta dicendo qualcosa di fuorviante, come se DD e DR fossero due forme qualitativamente differenti di democrazia. Se è vera DR, dove la delega non è cessione di sovranità, ma utile strumento, allora parliamo solo di diversa intensità di uso della delega. E così, Il referendum di iniziativa deliberativo, è semplicemente la CONDIZIONE MINIMA per cui una democrazia si possa definire tale. Lo strumento attraverso cui il cittadino ritorna padrone del potere che ha delegato. Senza questo minimo, la cosiddetta democrazia rappresentativa con l’obbligo della cessione a un rappresentante eletto, non è affatto democrazia, ma pura oligarchia.

E la democrazia diretta, se proprio vogliamo usare l’aggettivo diretta, dovrebbe piuttosto indicare un sistema democratico che tende costantemente a ridurre al minimo gli ostacoli per l’esercizio esteso della sovranità da parte di ogni singolo cittadino.

Giu 192012
 

Mi è capitato di partecipare a una “cena politica”, (che forse descriverò più dettagliatamente in altro articolo) dove a un certo punto l’anfitrione, nel corso dell’inevitabile (e per altro istruttiva) concione tenuta agli invitati in fase digestiva, ha espresso qualcosa di simile alla seguente affermazione: “La democrazia popolare (alias democrazia diretta) ha dimostrato il suo fallimento fin da subito ai tempi di Atene, quando un tribunale popolare di 500 persone ha condannato a morte Socrate”.

Non era il caso di commentare in quella sede, dove i cervelli dei presenti erano invitati a girare al minimo e al più dedicati a blandire l’auto-proponente lider maximo in pectore di un partito che spero non vedrà mai la luce. Ma l’affermazione, che per il suddetto anfitrione assumeva il valore di pietra tombale per la democrazia diretta (e direi per la democrazia tout-court) che non è nuova, merita una riflessione attenta e una risposta non elusiva. Anche perchè talvolta mette anche in imbarazzo certi sostenitori non accorti della democrazia diretta.

Non discuterò delle vere o presunte ragioni della condanna di Socrate. Per altro a noi (o almeno a me) conosciute solo attraverso la famosa cronaca molto probabilmente alterata che ne dà Platone, e quella di Senofonte. Accetto anche il presupposto (non proprio corretto) che quello che condannò Socrate fosse veramente un governo democratico.

Accettando questa visione da “luogo comune”, comprensiva del fatto che Socrate fosse un sostenitore dell’aristocrazia, ci sono in quella affermazione un paio di errori di fondo, che a mio modesto parere, allora avrebbe commesso, ebbene sì, anche lo stesso Socrate nel voler così dimostrare la fragilità della democrazia. Oltre che, naturalmente, tutti quelli che a questo scopo usano il dramma della vicenda di Socrate.

Il primo errore è ritenere che la democrazia diretta fondi la sua legittimità, o la sua primàzia su altri sistemi di governo, sull’idea che sia un metodo che conduca sempre alle scelte migliori o più giuste. E quindi se da essa ne derivano scelte cattive o ingiuste si dimostra la sua fallacità.
Non è così.
QUALSIASI sistema di governo può condurre a scelte che possiamo ritenere cattive. E la democrazia non è esente da questa possibilità, che è propria dell’esercizio del potere in sè. Come tale anche la democrazia, che è esercizio del potere da parte del popolo, può condurre a scelte che si rivelano cattive scelte o ingiuste (nel senso di non gradite o con le quali non concordiamo affatto). Il sovrano, che sia un popolo o un singolo può “sbagliare” prendendo decisioni anche talvolta controproducenti rispetto alla scopo che si prefigge. Ma questa non è una caratteristica della democrazia, ma dell’esercizio, in sé,  della sovranità.
Caso mai si potrebbe discutere se è più probabile avere scelte ingiuste prese da pochi o dai molti.

Il secondo errore è confondere le decisioni con le conclusioni.
Come acutamente indica Akiva Orr nel suo libro “La politica senza i politicile decisioni, non sono conclusioni. In sintesi le decisioni attengono ad una scelta fra diverse opzioni possibili. Esse derivano da una preferenza, o da una valutazione di priorità. Le decisioni sono buone e giuste o cattive e ingiuste in rapporto all’essere più o meno aderenti a ciò che noi preferiamo. Le conclusioni invece derivano da un ragionamento razionale, logico, dall’esame dei dati a disposizione.  Esse sono corrette o errate in rapporto alla evidenza dei risultati.
In generale, date certe condizioni note, non esistono due conclusioni diverse entrambe corrette. Mentre due decisioni anche opposte possono essere ritenute giuste a seconda delle priorità o dei valori che noi sosteniamo.
Per esempio un medico può concludere che se non si amputa la gamba il paziente morirà. Ciò o è errato, o è corretto. Delle due l’una. Ma due pazienti possono decidere (a fronte della conclusione del medico) uno di non amputare e morire piuttosto che non avere la gamba e l’altro di  amputare e restare vivo anche se con una sola gamba. Quale delle due decisioni è giusta? Dal punto di vista dei pazienti, entrambe.

Anche le decisioni possono però essere giudicate non solo ingiuste (rispetto ai nostri valori) ma anche errate se da quelle decisioni ci aspettiamo certe conclusioni che poi non si verificano.
Quindi l’uccisione di Socrate  è stata giusta o ingiusta a seconda del fatto che si ritenga buono o cattivo l’uccisione di un uomo. E, per me, posso dire è stata una decisione ingiusta.
Si può dire che sia stata sbagliata o corretta solo in dipendenza delle conclusioni che chi l’ha condannato pensava di poter raggiungere. (Se volevano proteggere la democrazia l’hanno effettivamente protetta? Se volevano proteggere i giovani dalla sua influenza “ateistica e blasfema” li hanno effettivamente protetti? )
Per quanto sopra la sua morte non ha concluso nulla circa la supposta fallacia della democrazia, perché bisognerebbe dimostrare che esistono governi autocratici o aristocratici che non realizzano questo tipo di ingiustizie, o almeno lo facciano in misura minore. E io credo invece è piuttosto evidente, che sia proprio il contrario.

Quindi ringrazio questi vari uomini illuminati che suppongono di sapere meglio di me cosa è il mio bene, perché per esempio dicono di conoscere meglio di me le conclusioni corrette, ma quale è il mio bene voglio deciderlo io. Voglio decidere io se amputarmi la gamba o no. Giusto o ingiusto che a loro possa sembrare. Anche perché poi, come minimo, hanno una parcella da presentarti.