Mag 262011
 

Un testo scritto a più mani sugli strumenti della democrazia diretta. Cosa sono, perché dovremmo averli, esperienze di utilizzo e suggerimenti per la loro realizzazione.

Gli autori sono alcuni fra le figure più riconosciute del movimento per la democrazia diretta, sia dal punto di vista teorico che pratico: Bruno Aprile, Thomas Benedikter, Roberto Brambilla. Paolo Michelotto. Dario Rinco e, immodestamente anche io, Pino Strano.

Il sottotitolo recita:  “Guida sulla democrazia diretta per cittadini attivi e consapevoli“.

Forse come nella “Guida galattica per autostoppisti” Avremmo dovuto scriverci “”Non fatevi prendere dal panico”.

Per ora comunque non è stato stampato, come avremmo voluto, in tempo per la “Settimana della democrazia diretta”. In ogni caso sarà sempre disponibile la versione digitale che potete scaricare anche dal mio blog.

 

 

Mag 212011
 

Calendario della settimana nazionale della Democrazia Diretta
Data Ora Luogo Organizzatore Relatore
22-mag 14:15 Firenze Brambilla Roberto T. Benedikter/P. Michelotto
Fortezza da basso
23-mag 20:30 Trento Michelotto Paolo Paolo Michelotto
Sala Tromba v. Cavour 27
24-mag 18:30 Ginevra T. Grassi/E. Banfi A. Gross/L. Zaquini
Università Uni Mail salle R070 Bd. Du Pont-d’Arve 40
24-mag 20:30 Sesto San Giovanni (Milano) Rinco Dario B. Aprile/D. Rinco
biblioteca civica v. Dante 6
27-mag 21:00 Alessandria Dell’Alba Franco B. Aprile/D. Rinco
sala “taglierina del pelo” circoscrizione Europista, v. Wagner 38
27-mag 20:30 Mira (Venezia) Minotto Vilma Paolo Michelotto
biblioteca Oriago, v. Venezia 172
28-mag 18:00 Cesena (Forlì-Cesena) Valentina Fabbri B. Aprile/D. Rinco
Magazzino Parallelo, v. Genova 70/84 (ex Mercato Ortofrutticolo) Festa del Riciclo 2011
28-mag 17:00 Formia (Latina) Nocella Giovanni Pino Strano
Sala archivio storico del comune, v. Lavanga 140
29-mag 15:30 Gravere, (Torino) Chirico Lorenzo B. Aprile/D. Rinco
Salone polivalente v. Roma 3 Borgata Refornetto
30-mag 20:00 Modena Grotti Gabriele B. Aprile/P. Michelotto
Sala conferenze Giacomo Ulivi v. Ciro Menotti 137
31-mag Chatillon (Aosta) Aostaviva T. Benedikter/R. Louvin
31-mag 20:00 Marsala (Trapani) Cassini Giuseppina B. Aprile/D. Rinco
Pinacoteca Comunale P.zza Carmine
01-giu 21:00 Albignasego (Padova) Ronchitelli Remo Dario Rinco
sala don Milani v. Marconi 44
01-giu 17:00 Roma Pino Strano, Sergio Mazzanti Pino Strano
Sala riunioni del Senato, Palazzo ex Bologna, via di Santa Chiara
01-giu 18:00 Vicenza Zancan/Macripo’ Thomas Benedikter
Patronato Leone XIII, Via Vittorio Veneto, 1
03-giu 21:00 Concorezzo Brambilla Roberto Dario Rinco
Centro civico p.zza Falcone/Borsellino
03-giu 20:30 Rovereto (Trento) Michelotto Paolo Paolo Michelotto
centro civico Brione, Via S. Pellico 16

 

Apr 152011
 

Più di una volta ho sentito scrivere ed esprimere le seguenti definizioni

DD = Democrazia Diretta, ovvero potere esercitato direttamente da cittadini senza intermediazioni

DR = Democrazia Rappresentativa, ovvero potere delegato dai cittadini ai rappresentanti

In effetti questa è la visione, direi “classica”, della situazione.

Ritengo quelle due definizioni non corrette. Dico proprio dal punto di vista teorico e dal punto di vista della sostanza.

Quelle equazioni sopra riportate sono l’interpretazione dominante comune, quasi appunto, un luogo comune. Ma, se si analizza bene cosa sta alla base dei concetti di DD, DR e D si può vedere che le cose non stanno proprio così.

Per esempio l’idea che DD significhi “potere esercitato senza intermediazioni”, è semplicemente sbagliata. Falsa. Infatti non è possibile nessuna espressione di volontà, e ancor meno uso del potere “senza intermediazioni”.

Tra volontà ed espressione efficace della stessa, c’è sempre quacosa in mezzo. Fosse anche solo il corpo, o un pezzo di carta, o un computer.  Leggasi in merito questo: http://www.pinostrano.it/blog/delega-e-dd-cosa-significa-laggettivo-diretta/

Quindi la differenza, se esiste, non sta lì. Sta piuttosto nel “tipo” della intermediazione. Che deve assicurare la corrispondenza tra volontà ed espressione/realizzazione della stessa.

Comunemente la nostra si ritiene una DR. Ma anche questo non è così. Infatti un sistema istituzionale dove i governanti non possono essere cambiati quando anche l’intero popolo non li voglia più, semplicemente non è una democrazia. Perché, in questo caso, la caratteristica di “potere del popolo” in realtà non è più attiva, è sospesa. Tanto più se questa “ripresa del potere”, questa “ultima parola” non dipende più dal popolo.

Nel sistema italiano attuale, affinché il popolo possa esercitare la propria sovranità  occorre  aspettare 5 anni, che piaccia o no. Nel frattempo i governanti possono stravolgere ogni cosa dello stato, stabilire qualsiasi assurdità, rubarsi i tuoi e i miei soldi, e anche commettere reati di qualsiasi genere stabilendo che sono legali, e non c’è alcuna possibilità per il popolo di impedire questo. Un sistema istituzionale che non preveda la possibilità di cambiare le leggi fatte dai governanti, neanche se l’intero popolo lo volesse, non è una democrazia. La nostra supposta DR in realtà si è giocata la D(emocrazia), poiché non prevede alcun mezzo attraverso il quale i cittadini possano, su propria iniziativa, modificare la delega e/o le decisioni dei delegati.

La nostra è quindi semplicemente una Oligarchia Elettiva. Noi non eleggiamo rappresentanti del popolo, ma sostituti del popolo. Principi elettivi a tempo. Insindacabili. E l’unico momento in cui i cittadini possono avere una possibilità di cambiare le cose, senza impugnare i fucili, è il giorno delle elezioni. Ma il fatto che si voti non significa affatto che il sistema nel suo complesso sia democratico. Se l’unica cosa che puoi fare è votare chi deve essere il tiranno, tutto si può dire, tranne che quello sia un sistema democratico.

Tuttavia la rappresentanza, o la delega è uno dei poteri che il popolo sovrano può esercitare. Come sovrano posso fare del mio potere ciò che voglio, compreso cederlo a qualcun altro se mi viene comodo, ma che sovrano sarei se non potessi riprenderlo non appena lo volessi? Quella sarebbe stata allora CESSIONE di sovranità. E questo è quello che ci accade con il voto, che esprime l’OBBLIGO di cedere la propria sovranità ai principi elettivi a lunga durata (i 5 anni della legislatura).

In democrazia (diretta) la delega non è CESSIONE di sovranità. perché, idealmente, in ogni momento io devo poter recuperare il potere ceduto. Il referendum deliberativo rappresenta quindi il livello MINIMO che deve esistere per poter dire che un sistema è democratico, Rappresenta quel mezzo, almeno uno, che il popolo deve poter avere per ritornare sovrano senza chiedere il permesso ai governanti.

Non tutte le democrazie (che hanno almeno il livello minimo per potersi definire tali) sono uguali. Una democrazia può essere migliore (o più estesa) di un altra se i mezzi attraverso i quali il cittadino può esercitare la propria sovranità sono molteplici e flessibili e non costringono persino chi non volesse delegare mai a doverlo comunque fare. Per questo la democrazia (diretta) è una idea progressiva, non uno STATO, una struttura statica, da raggiungere una volta per tutte.

Tuttavia supponendo anche di avere tutti i mezzi per esercitare in ogni momento il potere di governare, se io, cittadino sovrano lo voglio fare, devo poter essere libero di delegare. La delega è una prerogativa del sovrano. Un diritto. Ovviamente senza mai perderne totalmente il controllo (quindi in forma sempre revocabile o avocabile solo che lo voglia). Ma se per ipotesi io, dopo avere delegato, non volessi riprendermela se non ogni cinque anni, e se per ipotesi anche tutti gli altri membri del popolo non la volessero riprendere se non ogni cinque anni,?… ebbene allora avremmo un sistema proprio “simile” all’attuale. per questo dico che la DR è in realtà un caso particolare di DD.

La democrazia (diretta) CONTIENE naturalmente, come possibilità, la democrazia rappresentativa.

Quindi tutt’altro che dd “complemento” della dr. Quando si dice che il referendum di iniziativa e deliberativo (che spesso è, purtroppo, tutto quello che si intende per democrazia diretta) è complemento della DR, si sta facendo una affermazione sbagliata e fuorviante che non rende giustizia nemmeno al semplice concetto di Democrazia. Il referendum di iniziativa deliberativo è “semplicemente” la CONDIZIONE MINIMA per cui una democrazia si possa definire tale.

Quindi in definitiva rappresentativa e diretta, sono estremi di un continuum che esprime la maggiore o minore estensione dell’unico concetto che è la Democrazia, senza altri aggettivi. Condizione per la quale è necessario che al livello più basso di questo continuum ci sia almeno il referendum deliberativo di iniziativa popolare.

E la democrazia diretta è “semplicemente” un sistema democratico che tende costantemente a ridurre al minimo e a superare gli ostacoli per l’esercizio sempre più esteso della sovranità da parte di ogni singolo cittadino; migliorando gli strumenti, i livelli di consapevolezza, e in generale le condizioni che ne permettono la applicazione.

 Posted by at 18:22
Feb 062011
 

Ora molti vedono l’origine dei mali della nostra democrazia nei partiti.

Se dovessi esprimermi superficialmente, d’impulso, direi che è vero: i partiti si portano grandissime responsabilità della degenerazione del sistema.

Cosa li rende così deleteri? A mio parere perché sono diventati quasi esclusivamente macchine per indurre e raccogliere il consenso elettorale, strumenti per concentrare il potere nelle mani di pochi.

Ma sono sempre stati così? E se lo sono diventati, perché è stato possibile questa involuzione, qualcosa lo ha forse favorito, indotto? Era evitabile questa degenerazione? E siamo sicuri che eliminati i partiti eliminiamo anche il problema? Dico subito che non lo credo.

Andiamo con ordine. Ma che cos’è un partito?

L’art.49 della Costituzione Italiana recita:
<<Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.>>

Questa è una delle due, uniche,  occasioni in tutta la Costituzione, in cui viene citata la parola “partito”. L’altra è all’interno dell’art. 98, per stabilire che si possono porre dei divieti di iscrizione ai partiti per magistrati e funzionari delle forze dell’ordine.

L’art. 49 sancisce una possibilità, un diritto, non un obbligo. Non stabilisce che questo sia l’unico modo attraverso cui si può concorrere, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale. Questo sarebbe forse un punto a favore della eliminazione dei partiti. Se ne può fare a meno, costituzionalmente parlando.
Io però tendo a intepretarlo così:
1) Tutti i cittadini possono associarsi liberamente (quindi non è necessaria nè è definita alcuna speciale forma giuridica, i partiti sono libere associazioni, con uno status giuridico pari a quello del club bocciofilo, o degli amici dello scoiattolo rosso)
2) Se il fine di questa associazione è “concorrere a determinare la vita politica nazionale” essa si definisce “partito”.
3) Il metodo che qualsiasi partito deve seguire deve essere democratico.

Per altro non mi risulta neppure che nella Costituzione sia esplicitato in che consista questo metodo democratico. E se penso che sono stati scritti forse migliaia di libri per definire e descrivere cosa sia la democrazia…temo un pò questa mancanza. Se è pur vero che non esiste una definizione univoca accettata, è pernicioso che la Costituzione non si assuma il carico di darne comunque una definizione di riferimento. Gli spazi che lascia alla interpretazione di questo concetto mi preoccupano. Se poi cerco di dedurre il concetto dall’insieme degli articoli della Costittuzione stessa, allora capisco che questa definizione forse non è stata data, proprio perchè la Costituzione Italiana è frutto di mediazioni e circostanze storicamente determinate che ne hanno originato la forma definitiva cercando di contentare capre e cavoli, di fatto lasciando spazi ad ambiguità,  incompletezze, e alcune contraddizioni. Ma di questo scriverò altrove. Comunque quella abbiamo e con tutti i suoi limiti a qualcosa serve, o dovrebbe servire. E soprattutto andrebbe rispettata.

A mio modo di vedere allora, se una associazione di cittadini dichiara di voler concorrere a determinare la politica nazionale, dal punto di vista costituzionale, quella è un partito. A prescindere se denomina sé stessa come partito o movimento o rete o lista civica o altro.
Mi chiedo se debbano essere definiti partiti anche quelli che non dichiarano di voler concorrere alla vita politica, ma poi lo fanno.
Resta il fatto che per la Costituzione Italiana è un diritto associarsi per determinare la politica nazionale.

Come si verifica se i partiti seguono un metodo democratico o no? In realtà anche la natura giuridica labile dei partiti consente l’esistenza di partiti che non applicano affatto un metodo democratico. I partiti persona, i partiti azienda.

E’ la mancanza di questo secondo elemento il primo problema, non l’essere “partito” (cioè cittadini associati che condividono un progetto politico),
La mancanza del metodo democratico è il problema.
I partiti attuali, quelli che sono stati al governo, e la gran parte di quelli che pur non essendoci stati ci vorrebero stare soffrono di carenza di democrazia. Di ademocraziosi: mancanza di vitamina D, anzi DD.
Sono macchine per la conquista e la gestione piramidale del potere.
Costruite, quando va bene, sul principio della delega fino a congresso contrario.
Che assorbono e distribuiscono risorse per mantenere vantaggi per una parte (selezionata) del popolo secondo un criterio piramidale di appartenenza alla associazione: chi sta più in alto ha più vantaggi.
In questi partiti l’organizzazione del metodo decisionale, di gestione delle risorse, delle modalità della partecipazione sono sotto il controllo di pochi e quindi sono strumenti non democratici.

Questi partiti che non concorrono con metodo democratico semplicemente non dovrebbero esistere. Sono simoniaci nel tempio. La costituzione li escluderebbe. Non sono partiti ammessi. Sono fuorilegge. Anticostituzionali.

Che sia chiaro: Non è affatto  inevitabile che una associazione di cittadini che voglia concorrere alla politica nazionale debba farlo accentrando potere e per accentrarne sempre di più. Anzi direi piuttosto che questo dovrebbe, potrebbe, essere impedito , direi proprio vietato. Certamente questo è male. Perchè l’organizzazione piramidale, dove il potere viene delegato senza revocabilità al livello superiore, li mette a rischio (al di là delle intenzioni e dei fini pure anche nobili), di diventare strumenti di potere personale o di casta.  Gli appelli all’uso di forti strutture verticali ( leggasi centralismo democratico) di Giulietto Chiesa, che sembrano avere largo ascolto in Uniti e Diversi, mi fanno perciò rabbirividire. Ma la storia non insegna mai niente?

Il sistema rappresentativo (o meglio: a delega obbligatoria non revocabile prima di cinque anni) svuota la democrazia perché riduce la partecipazione al governo al solo momento delle elezioni. E al solo scopo di cedere la propria sovranità a qualcuno. Delegando per 4 o 5 anni tutto il potere di governare ai soli eletti. Questa situazione è perfetta per chi vuole accumulare potere per sè e usarlo ai propri fini e non per il bene comune. La situazione in Italia poi è stata ulteriormente peggiorata dalla ultima legge elettorale (il cosidetto “porcellum”) che eliminando le preferenze ha tolto ai cittadini anche la possibilità di scegliersi almeno il rappresentante e si può solo scegliere tra un gruppo di potere e un altro. La ormai consueta rimozione anche dell’obbligo di raccogliere un certo numero di firme trai cittadini elettori per presentare le liste elettorali, da parte dei partiti che hanno già rappresntanti nelle istituzioni ha poi garantito il totale e personale controllo dei padroni dei partiti su chi dovrà essere eletto.

Perciò non è che io non voglio i partiti. Non voglio quella immondizia, spacciata per democrazia. Dovunque si sedimenti.

Perchè questo meccanismo di accentramento del potere non sta solo nei partiti della casta, degenerati dalla democrazia finta rappresentativa.
Meccanismi di accentramento possono verificarsi anche (e in alcuni casi di più) in altri tipi di organizzazione. Non solo in quelle che comunemente chiamiamo partiti. Anche in quelle che dicono di non esserlo. Anche in quelle che addirittura dimostrano di non esserlo non avendo uno statuto. O che hanno un non-statuto (ad esempio Grillo e Mov 5 Stelle). Anche queste che dichiarano di non avere struttura definita partito sono a “rischio” di carenza di democrazia. Che democrazia si può costruire a partire dalla presenza di potere enormente accentrato nelle mani di uno solo? E non solo per il carisma, ma anche per proprità dei beni che dovrebbero essere comuni. Come si fa a fare democrazia quando, a scanso di equivoci e rischi, uno solo è il proprietario del nome e del simbolo del movimento e quindi ha tutto il potere solo lui di decidere se e quando usarlo? Grillo, è la versione berlusconiana dell’antipartitismo. Lo stesso vale per Di Pietro (se serve sprecare due parole per citarlo).

L’assenza di struttura definita, di regole esplicite non ganrantisce affatto i diritti dei più deboli, degli umili, di quelli istintivamente rispettosi del diritto altrui. Essi vengono più facilmente trascurati. Il potere allora può venire concentrato dagli individui più carismatici e/o più appariscenti per qualche verso e/o spregiudicati, magari fino alla criminalità.

La democrazia è metodo, regole. Regole esplicite, che proteggono, permettono e garantiscono l’esercizio della sovranità ai membri del popolo.

Se si continua a indicare il male nei partiti si sta solo indicando un effetto e non la causa. La causa è l’accentramento del potere nelle mani di pochi. Se non si mette in evidenza questo, con la semplice richiesta di non avere niente a che fare con i partiti della casta (o anche solo vecchi, o sempicmente già esistenti) o addirittura di eliminare i partiti,  ammesso anche di riuscirci, si rischia di cambiare tutto perché nulla cambi

In defintiva, alla luce di quanto sopra, io credo che i Democratici Diretti siano uno dei pochi,  forse l’unico, partito vero. Perché il loro metodo è genuinamente democratico. E il loro scopo è mantenere il controllo del governo nelle mani dei cittadini, non del partito. Neanche se quel “partito” è il nostro. Noi esistiamo col fine di riportare nelle mani del cittadino il potere, che in democrazia, è suo. E lo fanno coerentemente anche al proprio interno. Mantenendo il controllo della loro organizzazione nelle mani degli iscritti, non dei segretari o presidenti o leader riconosciuti. Pur avendo ruoli, incarichi e deleghe essi sono mantenuti sotto il controllo degli iscritti attraverso meccanismi obbligatori di trasparenza e di revocabilità in ogni momento. E questo è stabilito da statuto e regolamenti trasparenti e quanto più possibile chiari. Nonchè da pratiche rispettose degli stessi.

Perciò, per quanto mi riguarda, (e credo anche per quanto riguarda tutti i membri dei DD) il punto non è nemmeno no alle alleanze con i partiti della casta (anche se questo è un inevitabile corollario del teorema) ma no ad alcuna forma di organizzazione che espropri i suoi membri del potere di governo della stessa. E no a qualsiasi presentazione alle elezioni  che sia finalizzato a gestire il consenso sottraendolo ai legittimi proprietari. Noi siamo disposti a lottare solo al fine di dare ai cittadini la possibilità di mantenere il loro potere democratico oltre il momento del singolo voto. I modello è quello (ormai noto a chi mi legge) della Lista Partecipata. Ed è per questo che noi appoggiamo e contribuiamo all’esistenza della RETE DEI CITTADINI che ha fatto proprio quel modello. Non appoggeremo soggetti politici connotati diversamente. Ne fuori nè dentro ne di fianco ai partiti o movimenti più o meno autodefinitisi anticasta.

Feb 012011
 

Bologna 29 e 30 gennaio.

Una riunione istruttiva, direi. Chiarificatrice.

L’obiettivo è lo stesso di quella di Torino: vedere se è possibile fondare un nuovo soggetto politico che dia voce alle mille istanze inascoltate di questa Italia allo sbando.

Se possiamo riavere una speranza, una idea di futuro migliore.

Presenti circa 200 persone. La solita disposizione verticale dei posti. In posizione frontale, però invece del solito tavolo, un paio di divani.

Stile salotto televisivo. Ma l’aria non è quella di “sedetevi e ascoltateci”. Nè in platea, e, devo dire, neanche sul palco.

Chi introduce la giornata non sembra avere intenzione di occupare nè fisicamente nè politicamente la posizione frontale. Mi viene da dire forse più per timore di scoprirsi che per piena e convinta disponibilità. In platea c’è l’aria di avere voglia di tirare pomodori a chiunque tenti di assumere una posizione “dominante”.

Non entro nei dettagli. Bella l’introduzione di Michele Dotti, tutto dialogo, tolleranza, speranza, ma ancora non capisco come si procederà.

Alla fine si capisce che non l’ha capito nessuno. Si procede con una non-segreteria ondivaga. C’è così tanto timore di dare l’impressione di voler dirigere le cose che quasi non si riesce ad andare da nessuna parte. Questo, in generale è un errore: una cosa è non voler imporre, un’altra è non sapere chi fa il semaforo e con quale criterio.

Assemblearismo e centralismo portano ad analoghi risultati: hanno spazio quelli che “contano” e non necessariamente perchè sono rappresentativi.

In un caso perchè lo decidono i conducator e non sono previste modalità per modificare le loro scelte. Nell’altro perchè emergono quelli che hanno carisma, o che strabordano di testosterone e di ego, e non c’è nessuna scelta da modificare. Risultato: si dice <<interventi di tot minuti>> ma poi quasi nessuno rispetta quei tempi e qualcuno risulta più uguale degli altri.

Le insofferenze prendono a turno ora questi ora quelli a seconda della palatabilità soggettiva dell’oratore.

Vabbè, tra mille oscillazioni e qualche caduta di stile, però, nonostante tutto, il confronto cresce. Non siamo venuti lì per niente. Si vuole capire. E piano piano si capisce anche il perchè di tanta indefinitezza. A parte la motivazione, magari positiva, di non imporre visioni calate dall’alto (ma all’infinito?), a mio parere nasceva anche dal timore di scoprire che certi nodi potevano non essere risolti. Particolarmente quello delle alleanze. con i partiti della casta. Ma non si può restare indefiniti all’infinito, e non a caso la riunione era stata definita un conclave.

C’era bisogno di affrontare la questione. E la questione scoppia. Tutto sommato con toni non esagerati, ma forti e chiari: I movimenti civici ed ecologisti del territorio NON vogliono, nemmeno lontanamente, cercare alleanze con nessuno dei partiti di destra di sinistra o di centro che siano. nemmeno e tantomeno per tattiche elettoralistiche. Espressioni come “mai con la casta”, “partecipazione”, “democrazia diretta”, si ripetono frequentemente negli interventi, La parola più citata è “metodo” .

La grande maggioranza dei presenti (e si capisce anche degli assenti) è piuttosto alla ricerca di una qualche forma organizzativa che elimini o almeno riduca il rischio di diventare come loro.

Il punto è che se non c’è spazio per nessun partito più o meno coinvolto nel meccanismo della casta, non c’è spazio nemmeno per i verdi ( o quel che ne resta) intesi come gruppo politico, non come singoli. Ovviamente. A questo si sommano da una parte vecchi rancori (specie di ex), dall’altra alcuni significativi sempiterni tentativi o illusioni di egemonia, più individuali e isolate allucinazioni che giungono a vedere quella kermesse come l’occasione per la rifondazione del partito verde. (specie Boato)

La questione, dopo due giorni intensissimi (la prima giornata è finita alle 00.30) è comunque finalmente chiara. Checchè ne dica Giulietto Chiesa, (venuto come ospite e osservatore) il punto NON sono gli obiettivi, che ho sentito ribadire praticamente identici a torino come a firenze, e come a bologna, ma appunto le alleanze e ancor più i metodi. I metodi per la gestione democratica interna e per la gestione della rappresentanza politica. Gli appassionati discorsi di Chiesa sulla emergenza, e sulla necessità di risposte forti e nette pena prossime catastrofi e guerre, sono belli e giusti, ma non possono tradursi nell’irrigidimento della struttura in vecchi modelli centralisti e neo leninisti. Sfugge a Chiesa che quella direzione è esattamente la direzione che ha condotto alla degenerazione della democrazia (in verità alla sua ripetutamente abortita realizzazione): la perdita di sovranità del popolo, attuata appunto attraverso la delega di tipo rappresentativo e accentratorio.

Non si può risolvere un problema con gli stessi metodi che lo hanno generato. IL problema è proprio il metodo. E il metodo più importante è quello della democrazia.

Adesso i movimenti civici, devono perfezionare questa protoanalisi. Individuato il problema centrale nella perdita della sovranità, nella quasi assenza di democrazia (nelle istituzioni e nei partiti), occorre essere conseguenti e coerenti. Noi per primi non dobbiamo essere pavidi nel dispiegare tutte le potenzialità della democrazia. Se nelle istituzioni occorre inventarsi delle pratiche e degli strumenti alla luce delle costrizioni delle attuali norme (che è quanto mai necessario modificare), al proprio interno si è liberi di ricercare e praticare le più ampie forme della democrazia diretta e partecipata. Bisogna avere il coraggio di sciogliere i nodi pratici organizzativi (forme, nomi, simboli, definizione di strutture, incarichi,..) correndo il rischio della democrazia. Se non saremo capaci di farlo al nostro interno, come mai potremo sperare di farlo o anche solo proporlo, al nostro esterno?

Occorre perseguire il principio che ognuno deve avere pari diritti di proposta, discussione, decisione, implementazione e verifica. Questi principi vanno praticati nella misura massima possibile dettata dagli strumenti (regolamentari e tecnici) disponibili e dalla efficienza degli stessi. Occorre comprendere che democrazia “diretta” non vuol dire che tutti fanno tutto. Questa è una banalizzazione svalorizzante, ignorante e ipocrita. Il punto è il CONTROLLO sulla propria sovranità non la semplicistica esecuzione materiale personale. La delega è un utile strumento (in certe occasioni inevitabile) che se affiancata da meccanismi di trasparenza,e sopratutto di REVOCABILITA’ in ogni momento non è perdita di sovranità. Di più di quanto lo sia delegare il tuo autista a condurti a un certo luogo. Occorre capire la natura vera della democrazia e perseguirla consapevolmente.

Occorre comprendere e accettare il fatto che la democrazia o è di tutti o non è. Di tutti i cittadini. E quindi massima apertura ai singoli con tutto il patrimonio della propria identità personale. La democrazia è anche di quelli che sostengono idee che non ci piacciono, purchè la rispettino. Apriamoci, troviamo alleati anche in quei cittadini che sono diversi da noi ma accomunati dall’identico destino di non contare nulla come noi, purchè anche loro ne accettino le regole interne e la vogliano all’esterno.

E dovremo conquistarla la democrazia anche per tutti  quelli che oggi sono inebetiti dalle droghe mediatiche e che proprio perchè senza alcuna possibilità di pratica di responsabilità e di potere decisionale ancor meno trovano motivo e stimolo alla partecipazione. Che partecipo a fare se poi non conto nulla? Ci vuole una mente sgombra e campo-indipendente per farlo lo stesso, ed questa è la nostra funzione di illuminati (in senso zen) e di consapevoli. E non è vero che il popolo somaro e bolso non capisce e si fa sempre infinocchiare.

L’intorpidimento viene dalla mancanza di alternative. Ma chiunque capisce che il rappresentante dovrebbe essere strumento della volontà di chi lo elegge. Chiunque capisce che non può essere lui a stabilire il suo stipendio ma chi lo elegge. Mostriamo che si può fare sul serio, e si può fare SUBITO (vedi il modello della Liste Partecipate), diamo la possibilità di farlo sul serio e le cose cambieranno.

A Roma il 26 e 27 febbraio La RETE DEI CITTADINI terrà la sua assemblea nazionale. E’ una grande occasione per accelerare un processo  ormai in atto, e per mostrare nel vivo che la pratica di metodi democratici veri è possibile e produttiva. Come Democratico Diretto, sono fiero di avere contribuito a questo progetto portando il patrimonio di riflessioni, ricerche, pratiche, metodi e strumenti frutto di più di 15 anni di attività intorno ai temi della democrazia e della partecipazione. Spero di ritrovare lì molti dei compagni di strada che a Bologna abbiamo capito di essere.