Socrate e la democrazia diretta
Mi è capitato di partecipare a una “cena politica”, (che forse descriverò più dettagliatamente in altro articolo) dove a un certo punto l’anfitrione, nel corso dell’inevitabile (e per altro istruttiva) concione tenuta agli invitati in fase digestiva, ha espresso qualcosa di simile alla seguente affermazione: “La democrazia popolare (alias democrazia diretta) ha dimostrato il suo fallimento fin da subito ai tempi di Atene, quando un tribunale popolare di 500 persone ha condannato a morte Socrate”.
Non era il caso di commentare in quella sede, dove i cervelli dei presenti erano invitati a girare al minimo e al più dedicati a blandire l’auto-proponente lider maximo in pectore di un partito che spero non vedrà mai la luce. Ma l’affermazione, che per il suddetto anfitrione assumeva il valore di pietra tombale per la democrazia diretta (e direi per la democrazia tout-court) che non è nuova, merita una riflessione attenta e una risposta non elusiva. Anche perchè talvolta mette anche in imbarazzo certi sostenitori non accorti della democrazia diretta.
Non discuterò delle vere o presunte ragioni della condanna di Socrate. Per altro a noi (o almeno a me) conosciute solo attraverso la famosa cronaca molto probabilmente alterata che ne dà Platone, e quella di Senofonte. Accetto anche il presupposto (non proprio corretto) che quello che condannò Socrate fosse veramente un governo democratico.
Accettando questa visione da “luogo comune”, comprensiva del fatto che Socrate fosse un sostenitore dell’aristocrazia, ci sono in quella affermazione un paio di errori di fondo, che a mio modesto parere, allora avrebbe commesso, ebbene sì, anche lo stesso Socrate nel voler così dimostrare la fragilità della democrazia. Oltre che, naturalmente, tutti quelli che a questo scopo usano il dramma della vicenda di Socrate.
Il primo errore è ritenere che la democrazia diretta fondi la sua legittimità, o la sua primàzia su altri sistemi di governo, sull’idea che sia un metodo che conduca sempre alle scelte migliori o più giuste. E quindi se da essa ne derivano scelte cattive o ingiuste si dimostra la sua fallacità.
Non è così.
QUALSIASI sistema di governo può condurre a scelte che possiamo ritenere cattive. E la democrazia non è esente da questa possibilità, che è propria dell’esercizio del potere in sè. Come tale anche la democrazia, che è esercizio del potere da parte del popolo, può condurre a scelte che si rivelano cattive scelte o ingiuste (nel senso di non gradite o con le quali non concordiamo affatto). Il sovrano, che sia un popolo o un singolo può “sbagliare” prendendo decisioni anche talvolta controproducenti rispetto alla scopo che si prefigge. Ma questa non è una caratteristica della democrazia, ma dell’esercizio, in sé, della sovranità.
Caso mai si potrebbe discutere se è più probabile avere scelte ingiuste prese da pochi o dai molti.
Il secondo errore è confondere le decisioni con le conclusioni.
Come acutamente indica Akiva Orr nel suo libro “La politica senza i politici” le decisioni, non sono conclusioni. In sintesi le decisioni attengono ad una scelta fra diverse opzioni possibili. Esse derivano da una preferenza, o da una valutazione di priorità. Le decisioni sono buone e giuste o cattive e ingiuste in rapporto all’essere più o meno aderenti a ciò che noi preferiamo. Le conclusioni invece derivano da un ragionamento razionale, logico, dall’esame dei dati a disposizione. Esse sono corrette o errate in rapporto alla evidenza dei risultati.
In generale, date certe condizioni note, non esistono due conclusioni diverse entrambe corrette. Mentre due decisioni anche opposte possono essere ritenute giuste a seconda delle priorità o dei valori che noi sosteniamo.
Per esempio un medico può concludere che se non si amputa la gamba il paziente morirà. Ciò o è errato, o è corretto. Delle due l’una. Ma due pazienti possono decidere (a fronte della conclusione del medico) uno di non amputare e morire piuttosto che non avere la gamba e l’altro di amputare e restare vivo anche se con una sola gamba. Quale delle due decisioni è giusta? Dal punto di vista dei pazienti, entrambe.
Anche le decisioni possono però essere giudicate non solo ingiuste (rispetto ai nostri valori) ma anche errate se da quelle decisioni ci aspettiamo certe conclusioni che poi non si verificano.
Quindi l’uccisione di Socrate è stata giusta o ingiusta a seconda del fatto che si ritenga buono o cattivo l’uccisione di un uomo. E, per me, posso dire è stata una decisione ingiusta.
Si può dire che sia stata sbagliata o corretta solo in dipendenza delle conclusioni che chi l’ha condannato pensava di poter raggiungere. (Se volevano proteggere la democrazia l’hanno effettivamente protetta? Se volevano proteggere i giovani dalla sua influenza “ateistica e blasfema” li hanno effettivamente protetti? )
Per quanto sopra la sua morte non ha concluso nulla circa la supposta fallacia della democrazia, perché bisognerebbe dimostrare che esistono governi autocratici o aristocratici che non realizzano questo tipo di ingiustizie, o almeno lo facciano in misura minore. E io credo invece è piuttosto evidente, che sia proprio il contrario.
Quindi ringrazio questi vari uomini illuminati che suppongono di sapere meglio di me cosa è il mio bene, perché per esempio dicono di conoscere meglio di me le conclusioni corrette, ma quale è il mio bene voglio deciderlo io. Voglio decidere io se amputarmi la gamba o no. Giusto o ingiusto che a loro possa sembrare. Anche perché poi, come minimo, hanno una parcella da presentarti.
SPOSTANDO L’ARGOMENTO DALLE GAMBE ALLE TASCHE POTREBBE DARSI L’EVENIENZA CHE GLI “UOMINI ILLUMINATI” DECIDANO CHE OCCORRE PAGARE DEI TRIBUTI MA SE PAGARLI O MENO LO VORREBBE DECIDERE LEI.