Feb 182010
 

rdcattachE così ho deciso non solo di sostenere questa lista ma di candidarmi. Ma andiamo con ordine.

Questa estate, mi chiamano alcuni amici e mi dicono che hanno intenzione di preparare una lista per le elezioni regionali del Lazio. La cosa interessante, per cui mi chiamano, è che vorrebbero mettere assieme movimenti e istanze diverse presenti sul territorio considerato che nessuna delle forze alternative esistenti da sola ha la forza per farcela.

Io, sinceramente, ero abbastanza “scarico”. Lo sforzo per la preparazione (prima teorica e poi pratica) di tutto il materiale della lista partecipata, era stato grande. Anche se la struttura era già definita da tempo (la prima edizione risale al 1996 !) i riadattamenti e soprattutto tutte le pratiche burocratiche necessarie per la concreta presentazione alle elezioni mi avevano veramente stancato. Per di più, dopo un iniziale interessamento di alcuni gruppi eravamo rimasti soli. E la fatica è stata veramente grande. Il fatto poi che non siamo riusciti a raggiungere il numero di firme necessario almeno alla presentazione confesso a me aveva anche tagliato le gambe.

Ma, era ovvio. La struttura dei dd, da sola non poteva farcela. Tuttavia rimaneva un patrimonio di esperienza notevole. La proposta di questi amici era quindi per certi versi interessante. Però io non potevo che passare la palla agli altri amici dei dd laziali, nel mentre che passavo la palla anche per molte altre cose relative alla gestione della organizzazione dei DD. La mia posizione era: se la democrazia diretta ha un senso, se l’organizzazione dei DD ha un senso, allora deve potersi reggere anche senza il mio apporto. Altrimenti, per quanto mi riguardava avevo dato.

Retta la fiaccola della DD fin dai tempi bui e solitari di craxiana memoria, ora l’idea si era sparsa e diffusa, tuttavia stentava ancora a coagulare in qualcosa di concreto e tangibile. Ma il mio compito non poteva essere quello di essere one-men-org. Io potevo essere e per certi versi sono stato, appunto, tedoforo di democrazia diretta. Non potevo anche fare squadra e pubblico. Perciò anche a questi amici la mia risposta fu: fate e io sarò sempre con voi. Ma non voglio essere io a tirare. Questa volta il carro lo deve tirare qualcun altro. In alternativa io posso sempre continuare a sviluppare al teoria della dd, senza obbligatoriamente dover dare io, sostanzialmente con le mie sole forze, “corpo” alle azioni. Neanche se poi queste azioni hanno anche effettivamente avuto successo, molto al di la delle nostre piccolissime forze. Come effttivamente in diverse occasioni è stato. Così, ho guardato. Per una volta mi sono messo a guardare. Sia verso l’organizzazione dei DD, ma ancora più verso questo tentativo.

Dopo diversi mesi di lavoro, oggi posso dire che quel tentativo ha trovato ragione di essere, non nella volontà superominica di qualcuno, ma nei fatti, nella struttura stessa del tessuto sociale del Lazio.

C’è un reale bisogno di democrazia e di partecipazione. Non è la farneticazione o la visione anche profetica, ma isolata, di uno solo. No. E’  un bisogno reale. E’ un grido di dolore che si alza dalla società laziale (punta dell’iceberg italiano), dimenticata. Dimenticata come tutti gli italiani onesti, che lavorano, che pensano non solo a se stessi ma anche al bene comune, perché sanno che da lì viene il bene duraturo. Che vogliono pensare al bene dei propri e degli altrui figli. Che pensano al territorio non solo come qualcosa da profanare e sfruttare e possedere, ma come qualcosa di prezioso dove si deve vivere tutti. Che se lo tratti bene ti può dare da campare. A te e ai tuoi cari, che lì devono vivere. Lì hanno la loro sola unica casa e terra. Che non possono essere delocalizzati o trasferiti alle isole Cayman, o su un altro pianeta. Noi e le generazioni future. C’è un bisogno che cresce di opporsi sul serio alla invadente verità televisiva. Alla forza di un potere che non esita a usare qualsiasi mezzo (legale e illegale) pur di affermarsi e autoconfermarsi come sfruttatore di una Italia trattata come merce. Usando le istituzioni per trasformare la legalità a proprio uso e consumo in una serie di norme compiacenti solo verniciate di forma democratica e che gridano vergogna al buon senso e alla giustizia.

La disinvoltura con cui prostitute e trans frequentano i palazzi sacri della res publica come fossero i back stage dei locali a luci rosse, è solo una pallida indicazione, nella spudoratezza, di quanto marcia sia la gestione di tutta la cosa pubblica. Ogni riferimento alla caduta dell’impero romano è lecito.

Così questa lista nata da un reale e faticoso processo aggregativo è un piccolo e robusto fiore nel mare di merda. Gruppi politici che di solito coltivano la propria specificità, i propri simboli, i propri obbiettivi, che hanno i loro leader, hanno in questo caso fatto qualcosa di meraviglioso. Il Partito Umanista, Per il Bene Comune, i Democratici Diretti, Il partito del Sud, Rinnovamento Italiano, la rete dei cittadini per Aprilia, i comitati di cittadini di Cerveteri, Civitavecchia e altri, molti altri, sia singoli che collegati a questo o a quello. Hanno rinunciato a una egoistica speranza di egemonia e hanno cercato ciò che univa.

Abbiamo scoperto che molto ci univa. Molto sia negli obiettivi che nei metodi. Pure eravamo e siamo diversi in molte cose. Ma qualcosa di unico ci unisce. Il più potente degli strumenti organizzativi, capace di far stare assieme anche modelli sociali e obiettivi diversi: la DEMOCRAZIA.

Sì. Al di là di tutto ci unisce l’idea che solo la democrazia ci può salvare. Solo la democrazia vera, quella partecipata, quella diretta. Quella che vede il rispetto di ogni idea e di ogni testa. E non solo al momento delle elezioni, ma sempre. Anzi ancora di più dopo le elezioni. Noi dd abbiamo contribuito dando risposte a molte domande della serie: si la democrazia diretta è bella ma come si fa? Abbiamo sgombrato il campo da falsi miti. Ricondotto a pratica verità, che non esclude la delega ma la tiene sempre sotto controllo (chi legge questo blog, lo può sapere). Abbiamo portato, spero con umiltà, il patrimonio di ricerche e lavoro quotidiano fornendo strumenti e modelli. Altri ne inventeremo assieme. Altri, ne sono sicuro, verranno. La strada è ora tracciata. Potremo anche forse persino non farcela in queste elezioni regionali. Ma cresceremo ogni volta di più fino riprenderci la capacità di gestire al nostra vita, fino a riprenderci la sovranità perduta.

Mar 152009
 

In questi tempi di “reality” è ormai diventata  usuale l’espressione “pubblico sovrano”, con ciò intendendo che sono i telespettatori col loro televoto a decidere delle sorti di questo o quel ‘protagonista’ televisivo.

“Pubblico sovrano”, è una specie di interessante ossimoro.

E’ un ossimoro perchè pubblico è = popolo passivo. Il pubblico guarda. Al più applaude o fischia. Uno del pubblico non può essere votato, nè può proporre qualcuno dall’esterno, nè può proporsi come candidato a miglior cantante. La sovranità si limita al voto, a decidere chi deve vincere. Il che la dice lunga su a che cosa si sia ridotto il concetto di sovranità, nel linguaggio e nel pensiero comune: alla semplice scelta di chi deve comandare.

Però è interessante ( o forse preoccupante) che da qualche tempo se ne faccia uso costante. E’ interessante perchè la gente dello spettacolo, e in generale diciamo le forme d’arte, anche popolare, sono sensibili agli umori, a ciò che agita nel profondo la società in cui sono immerse. Anzi più popolare è l’arte più è sensibile agli umori, ai sentire del popolo. E allora, anche se confusamente, questo richiamo al popolo sovrano, pur nella ignoranza e anche nella pericolosità della sempificazione e nella rozzezza dell’ossimoro “pubblico sovrano”, è un indizio che l’esigenza di contare, di determinare, di non essere solo passivi è forte. E il richiamo ad esso funziona. La gente, addirittura, paga per votare.

Certo non è espressione di coscienza politica o dei propri diritti. E c’è il rischio che il concetto di sovranità venga trasformato in un messagio populista e plebiscitarista. Ma per me è un segnale di un bisogno che si diffonde. Non mi spingerei a dire che il largo uso del “pubblico sovrano” sia programmato per depotenziare la carica eversiva (!) della richiesta di partecipazione e di reale democrazia che noi chiamiamo democrazia diretta. No, piuttosto la bilancia per me pende dal lato positivo. Sta a noi evidenziare la differenza. Senza puzze sotto il naso.

Ora  però questo uso sproporzionato, improprio, del concetto di sovranità, è occasione per qualcuno di attaccare tout court i concetti della democrazia diretta sulla base dell’osservazione che la massa è ignorante.

Si parte dalla considerazione che: “se dovessimo giudicare la qualità di un musicista dal numero di copie vendute dovremmo giungere alla conclusione che ramazzotti è meglio di Jaco Pastorius (jazzista), perche vende di piu, …” e si arriva a criticare l’idea di un popolo che si autoverna perchè esso non è in grado di farlo in quanto incompetente, ignorante. Come il pubblico, il popolo, è somaro.

Cominciamo col dire che è ovvio che la canzone più votata (o più acquistata) non sia necessariamente la più bella musicalmente parlando, ma semplicemente quella che piace al maggior numero di persone. Per altro se non si vuole avere un atteggiamento snobistico, occorre riconoscere che nemmeno è detto necessariamente il contrario.

Questo, traslato al tema del governo dd evidenzia semplicemente una verità: la dd non può garantire la migliore delle scelte. Ma quale governo può? Nessun sistema di governo può garantire le scelte migliori o le scelte più giuste.

Ricordo su questo tema il fondamentale testo di Akiva Orr che chiarisce mirabilmente la differenza tra decisioni e conclusioni.

Per altro qui non parliamo neanche di conclusioni che poi possono essere contestate scientificamente, o da un evoluzione che mostra che erano sbagliate, ma proprio di giudizi fortemente personali e opinabili: chi l’ha detto che pastorius sia meglio di ramazzotti? A me piace anche leone di lernia… e allora? Fortunatamente io posso sempre comprarmi i dischi di Pastorius. Ma che dire allora del fatto che nessuna casa discografica ha mai inciso dischi sulle partiture di Luigi Russolo? E che probabilmente pochi di quelli che comprano dischi di Pastorius l’hanno mai sentito nominare? Forse la sua musica vale di meno di quella di Pastorius? Forse tra 100 anni molti o tutti concluderanno che Russolo era un genio incompreso e che ha aperto la strada alla musica contemporanea del 2109. Resta il fatto che solo allora il “pubblico sovrano” deciderà di dargli un premio (alla memoria).

Però è interessante che dopo 200 anni dalla nascita delle prime democrazie moderne periodicamente si ritorni a questo argomento di discussione: il popolo non sa o non saprebbe governarsi; il popolo non ha la competenza necessaria a governarsi; il popolo è sostanzialmente “somaro”.

E alla parola “popolo” potete dare l’estensione che vi pare.

Perchè, ricordo, che per “popolo” non si è mai inteso la totalità degli esseri umani che compongono la comunità. Prima gli ateniesi escludevano donne, meteci e schiavi e alcune altre categorie. E nel corso dei secoli quando anche alcuni tentativi di democrazia si sono messi in piedi, e dalla rivoluzione francese e americana in poi, sempre si sono escluse categorie.

Chi non possedeva terra. Chi non pagava le tasse. Chi non aveva la pelle bianca. Chi non sapeva scrivere. Chi non era maschio…. La ragione era sempre che non avevano la competenza o la saggezza necessaria, o l’interesse a governare.

Curiosamente (?) la questione della competenza viene posta nella quasi totalità dei casi da parte di chi ha già il potere verso quelli che lo richiedono, o da parte di chi crede di avere quella competenza in quanto possessore di quella particolare caratteristica verso quelli che quella caratteristica non la possiedono.

I nobili verso i borghesi che erano semplici possidenti senza lignaggio. I borghesi possidenti verso chi non aveva terre o mezzi e non poteva pagare tasse. Gli uomini dalla pelle bianca verso quelli con un altro colore. I maschi verso le femmine. Gli acculturati verso gli analfabeti… gli anziani verso i giovani.

Sfugge a tutti questi che il diritto all’autodeterminazione è un diritto che spetta semplicemente a tutti coloro che individualmente sono capaci di essere responsabili della propria vita.

Come individuo, io sono membro di una comunità in quanto rinuncio a una parte del diritto ad autodeterminarmi in maniera assoluta, e accetto di regolare la mia vita secondo le decisioni e le regole della comunità. Ma la vita è la mia e come tale ho il diritto a contribuire a determinare la gestione di quella parte che ho messo in comune, come chiunque altro che abbia fatto la stessa rinuncia a favore della comunità.

La mia responsabilità verso la mia vita non dipende dal fatto che io sia intelligente, ricco, bianco o nero o donna. Ma semplicemente dal fatto che la vita è la mia e nessuno si fa responsabile per me di quella.

In questo senso le eccezioni rigurdano solo proprio questo aspetto. Un bambino piccolo “dipende” dai genitori. Ma finchè un minore non è responsabile, non solo non ha il diritto di decidere le regole, ma non ne ha neanche il dovere. O lo ha in maniera molto attenuata. Questo è l’unico tipo di eccezione che ha una logica non di dominio. Ovviamente lo stesso avviene per chi è incapace di intendere e di volere: perde i diritti poltiici, ma anche è trattato (o dovrebbe essere trattato) diversamente quando non rispetta le leggi. Non è responsabile.

E non importa che si usi un criterio piuttosto che un altro. Alla fine della fiera i criteri sono sempre relativamente arbitrari. Ciò che conta è che se uno è ritenuto responsabile della propria vita, allora come membro della comunità ha il diritto a decidere su quella. Così da determinare ciò che come gli altri dovrà sopportare.

Naturalmente questo è valido se uno non vuole che si affermi una logica di dominio. E quindi vuole una cosa che si chiama democrazia.

E allora se una comunità democratica è fatta da somari, quella comunità ha il diritto di fare scelte somare. Punto. E comunque è tutto da vedere.

Se invece qualcuno ritiene che i somari vadano pascolati per il loro bene, deve riconoscere che storicamente MAI un governo di “custodi” (o competenti o come vi pare a voi) ha fatto il bene dei somari.

Una cosa è sicura: poichè le decisioni non sono conclusioni, ho legittimamente deciso di mandare a cagare tutti quelli che si sentono politicamente superiori al “pubblico somaro”.

(*) Chiedo scusa ai somari, che a dispetto della corrente immagine negativa tra gli umani, sono invece animali nobili e tra i più intelligenti.

Feb 202009
 

Questo è un estratto di un articolo di Giandomenico Picco, pubblicato sulla rivista del SISDE – Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica, Per Aspera ad Veritatem N.23 maggio-agosto 2002.

Benchè datato 2002, non solo mostra tutta la sua attualità, ma direi che c’e’ da riflettere. E forse anche da imparare.

Il pezzo intitolato: “Questioni della globalizzazione e governance internazionale”, analizza i processi della globalizzazione legandoli ai processi di trasformazione della governance e della stessa struttura della istituzioni democratiche rilevando l’emergere della tendenza alla democrazia diretta. Il pezzo è descrittivo e non si pone nè pro nè contro. Solo rileva che è qualcosa con cui bisognerà sempre più fare i conti.
Buona lettura….

Chi sono questi individui che fanno parte ormai di quella categoria definita attori non istituzionali delle relazioni internazionali? Non sono certo eletti né devono rispondere ad alcuno delle loro azioni politiche. Sono parte di quello stesso gruppo di elettori che ancora si fanno rappresentare dai parlamenti nel sistema classico della democrazia che noi conosciamo ma che hanno scoperto di avere anche altri strumenti per fare sentire la propria voce, per agire in prima persona, insomma, perfare a meno della intermediazione del potere. Un discorso simile si potrebbe fare per i media. Continue reading »

Feb 162009
 

Roma, 16 Febbraio, 2009

 

Una premessa,
Sono stato presentato come il segretario dei Democratici Diretti.
Non parlo però a nome dell’Organizzazione: tra i DD nessuno parla a nome dei DD se non ha un mandato specifico.
Tuttavia userò il “noi” quando quello che dico credo sia condiviso dalla stragrande maggioranza dei membri.
Avrei mille cose da dirvi ma le limiterò a poche e sarò forzatamente molto schematico, per non usare un eccessiva quantità di quella risorsa primaria per la democrazia che è il 

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