Feb 012011
 

Bologna 29 e 30 gennaio.

Una riunione istruttiva, direi. Chiarificatrice.

L’obiettivo è lo stesso di quella di Torino: vedere se è possibile fondare un nuovo soggetto politico che dia voce alle mille istanze inascoltate di questa Italia allo sbando.

Se possiamo riavere una speranza, una idea di futuro migliore.

Presenti circa 200 persone. La solita disposizione verticale dei posti. In posizione frontale, però invece del solito tavolo, un paio di divani.

Stile salotto televisivo. Ma l’aria non è quella di “sedetevi e ascoltateci”. Nè in platea, e, devo dire, neanche sul palco.

Chi introduce la giornata non sembra avere intenzione di occupare nè fisicamente nè politicamente la posizione frontale. Mi viene da dire forse più per timore di scoprirsi che per piena e convinta disponibilità. In platea c’è l’aria di avere voglia di tirare pomodori a chiunque tenti di assumere una posizione “dominante”.

Non entro nei dettagli. Bella l’introduzione di Michele Dotti, tutto dialogo, tolleranza, speranza, ma ancora non capisco come si procederà.

Alla fine si capisce che non l’ha capito nessuno. Si procede con una non-segreteria ondivaga. C’è così tanto timore di dare l’impressione di voler dirigere le cose che quasi non si riesce ad andare da nessuna parte. Questo, in generale è un errore: una cosa è non voler imporre, un’altra è non sapere chi fa il semaforo e con quale criterio.

Assemblearismo e centralismo portano ad analoghi risultati: hanno spazio quelli che “contano” e non necessariamente perchè sono rappresentativi.

In un caso perchè lo decidono i conducator e non sono previste modalità per modificare le loro scelte. Nell’altro perchè emergono quelli che hanno carisma, o che strabordano di testosterone e di ego, e non c’è nessuna scelta da modificare. Risultato: si dice <<interventi di tot minuti>> ma poi quasi nessuno rispetta quei tempi e qualcuno risulta più uguale degli altri.

Le insofferenze prendono a turno ora questi ora quelli a seconda della palatabilità soggettiva dell’oratore.

Vabbè, tra mille oscillazioni e qualche caduta di stile, però, nonostante tutto, il confronto cresce. Non siamo venuti lì per niente. Si vuole capire. E piano piano si capisce anche il perchè di tanta indefinitezza. A parte la motivazione, magari positiva, di non imporre visioni calate dall’alto (ma all’infinito?), a mio parere nasceva anche dal timore di scoprire che certi nodi potevano non essere risolti. Particolarmente quello delle alleanze. con i partiti della casta. Ma non si può restare indefiniti all’infinito, e non a caso la riunione era stata definita un conclave.

C’era bisogno di affrontare la questione. E la questione scoppia. Tutto sommato con toni non esagerati, ma forti e chiari: I movimenti civici ed ecologisti del territorio NON vogliono, nemmeno lontanamente, cercare alleanze con nessuno dei partiti di destra di sinistra o di centro che siano. nemmeno e tantomeno per tattiche elettoralistiche. Espressioni come “mai con la casta”, “partecipazione”, “democrazia diretta”, si ripetono frequentemente negli interventi, La parola più citata è “metodo” .

La grande maggioranza dei presenti (e si capisce anche degli assenti) è piuttosto alla ricerca di una qualche forma organizzativa che elimini o almeno riduca il rischio di diventare come loro.

Il punto è che se non c’è spazio per nessun partito più o meno coinvolto nel meccanismo della casta, non c’è spazio nemmeno per i verdi ( o quel che ne resta) intesi come gruppo politico, non come singoli. Ovviamente. A questo si sommano da una parte vecchi rancori (specie di ex), dall’altra alcuni significativi sempiterni tentativi o illusioni di egemonia, più individuali e isolate allucinazioni che giungono a vedere quella kermesse come l’occasione per la rifondazione del partito verde. (specie Boato)

La questione, dopo due giorni intensissimi (la prima giornata è finita alle 00.30) è comunque finalmente chiara. Checchè ne dica Giulietto Chiesa, (venuto come ospite e osservatore) il punto NON sono gli obiettivi, che ho sentito ribadire praticamente identici a torino come a firenze, e come a bologna, ma appunto le alleanze e ancor più i metodi. I metodi per la gestione democratica interna e per la gestione della rappresentanza politica. Gli appassionati discorsi di Chiesa sulla emergenza, e sulla necessità di risposte forti e nette pena prossime catastrofi e guerre, sono belli e giusti, ma non possono tradursi nell’irrigidimento della struttura in vecchi modelli centralisti e neo leninisti. Sfugge a Chiesa che quella direzione è esattamente la direzione che ha condotto alla degenerazione della democrazia (in verità alla sua ripetutamente abortita realizzazione): la perdita di sovranità del popolo, attuata appunto attraverso la delega di tipo rappresentativo e accentratorio.

Non si può risolvere un problema con gli stessi metodi che lo hanno generato. IL problema è proprio il metodo. E il metodo più importante è quello della democrazia.

Adesso i movimenti civici, devono perfezionare questa protoanalisi. Individuato il problema centrale nella perdita della sovranità, nella quasi assenza di democrazia (nelle istituzioni e nei partiti), occorre essere conseguenti e coerenti. Noi per primi non dobbiamo essere pavidi nel dispiegare tutte le potenzialità della democrazia. Se nelle istituzioni occorre inventarsi delle pratiche e degli strumenti alla luce delle costrizioni delle attuali norme (che è quanto mai necessario modificare), al proprio interno si è liberi di ricercare e praticare le più ampie forme della democrazia diretta e partecipata. Bisogna avere il coraggio di sciogliere i nodi pratici organizzativi (forme, nomi, simboli, definizione di strutture, incarichi,..) correndo il rischio della democrazia. Se non saremo capaci di farlo al nostro interno, come mai potremo sperare di farlo o anche solo proporlo, al nostro esterno?

Occorre perseguire il principio che ognuno deve avere pari diritti di proposta, discussione, decisione, implementazione e verifica. Questi principi vanno praticati nella misura massima possibile dettata dagli strumenti (regolamentari e tecnici) disponibili e dalla efficienza degli stessi. Occorre comprendere che democrazia “diretta” non vuol dire che tutti fanno tutto. Questa è una banalizzazione svalorizzante, ignorante e ipocrita. Il punto è il CONTROLLO sulla propria sovranità non la semplicistica esecuzione materiale personale. La delega è un utile strumento (in certe occasioni inevitabile) che se affiancata da meccanismi di trasparenza,e sopratutto di REVOCABILITA’ in ogni momento non è perdita di sovranità. Di più di quanto lo sia delegare il tuo autista a condurti a un certo luogo. Occorre capire la natura vera della democrazia e perseguirla consapevolmente.

Occorre comprendere e accettare il fatto che la democrazia o è di tutti o non è. Di tutti i cittadini. E quindi massima apertura ai singoli con tutto il patrimonio della propria identità personale. La democrazia è anche di quelli che sostengono idee che non ci piacciono, purchè la rispettino. Apriamoci, troviamo alleati anche in quei cittadini che sono diversi da noi ma accomunati dall’identico destino di non contare nulla come noi, purchè anche loro ne accettino le regole interne e la vogliano all’esterno.

E dovremo conquistarla la democrazia anche per tutti  quelli che oggi sono inebetiti dalle droghe mediatiche e che proprio perchè senza alcuna possibilità di pratica di responsabilità e di potere decisionale ancor meno trovano motivo e stimolo alla partecipazione. Che partecipo a fare se poi non conto nulla? Ci vuole una mente sgombra e campo-indipendente per farlo lo stesso, ed questa è la nostra funzione di illuminati (in senso zen) e di consapevoli. E non è vero che il popolo somaro e bolso non capisce e si fa sempre infinocchiare.

L’intorpidimento viene dalla mancanza di alternative. Ma chiunque capisce che il rappresentante dovrebbe essere strumento della volontà di chi lo elegge. Chiunque capisce che non può essere lui a stabilire il suo stipendio ma chi lo elegge. Mostriamo che si può fare sul serio, e si può fare SUBITO (vedi il modello della Liste Partecipate), diamo la possibilità di farlo sul serio e le cose cambieranno.

A Roma il 26 e 27 febbraio La RETE DEI CITTADINI terrà la sua assemblea nazionale. E’ una grande occasione per accelerare un processo  ormai in atto, e per mostrare nel vivo che la pratica di metodi democratici veri è possibile e produttiva. Come Democratico Diretto, sono fiero di avere contribuito a questo progetto portando il patrimonio di riflessioni, ricerche, pratiche, metodi e strumenti frutto di più di 15 anni di attività intorno ai temi della democrazia e della partecipazione. Spero di ritrovare lì molti dei compagni di strada che a Bologna abbiamo capito di essere.

Feb 182010
 

rdcattachE così ho deciso non solo di sostenere questa lista ma di candidarmi. Ma andiamo con ordine.

Questa estate, mi chiamano alcuni amici e mi dicono che hanno intenzione di preparare una lista per le elezioni regionali del Lazio. La cosa interessante, per cui mi chiamano, è che vorrebbero mettere assieme movimenti e istanze diverse presenti sul territorio considerato che nessuna delle forze alternative esistenti da sola ha la forza per farcela.

Io, sinceramente, ero abbastanza “scarico”. Lo sforzo per la preparazione (prima teorica e poi pratica) di tutto il materiale della lista partecipata, era stato grande. Anche se la struttura era già definita da tempo (la prima edizione risale al 1996 !) i riadattamenti e soprattutto tutte le pratiche burocratiche necessarie per la concreta presentazione alle elezioni mi avevano veramente stancato. Per di più, dopo un iniziale interessamento di alcuni gruppi eravamo rimasti soli. E la fatica è stata veramente grande. Il fatto poi che non siamo riusciti a raggiungere il numero di firme necessario almeno alla presentazione confesso a me aveva anche tagliato le gambe.

Ma, era ovvio. La struttura dei dd, da sola non poteva farcela. Tuttavia rimaneva un patrimonio di esperienza notevole. La proposta di questi amici era quindi per certi versi interessante. Però io non potevo che passare la palla agli altri amici dei dd laziali, nel mentre che passavo la palla anche per molte altre cose relative alla gestione della organizzazione dei DD. La mia posizione era: se la democrazia diretta ha un senso, se l’organizzazione dei DD ha un senso, allora deve potersi reggere anche senza il mio apporto. Altrimenti, per quanto mi riguardava avevo dato.

Retta la fiaccola della DD fin dai tempi bui e solitari di craxiana memoria, ora l’idea si era sparsa e diffusa, tuttavia stentava ancora a coagulare in qualcosa di concreto e tangibile. Ma il mio compito non poteva essere quello di essere one-men-org. Io potevo essere e per certi versi sono stato, appunto, tedoforo di democrazia diretta. Non potevo anche fare squadra e pubblico. Perciò anche a questi amici la mia risposta fu: fate e io sarò sempre con voi. Ma non voglio essere io a tirare. Questa volta il carro lo deve tirare qualcun altro. In alternativa io posso sempre continuare a sviluppare al teoria della dd, senza obbligatoriamente dover dare io, sostanzialmente con le mie sole forze, “corpo” alle azioni. Neanche se poi queste azioni hanno anche effettivamente avuto successo, molto al di la delle nostre piccolissime forze. Come effttivamente in diverse occasioni è stato. Così, ho guardato. Per una volta mi sono messo a guardare. Sia verso l’organizzazione dei DD, ma ancora più verso questo tentativo.

Dopo diversi mesi di lavoro, oggi posso dire che quel tentativo ha trovato ragione di essere, non nella volontà superominica di qualcuno, ma nei fatti, nella struttura stessa del tessuto sociale del Lazio.

C’è un reale bisogno di democrazia e di partecipazione. Non è la farneticazione o la visione anche profetica, ma isolata, di uno solo. No. E’  un bisogno reale. E’ un grido di dolore che si alza dalla società laziale (punta dell’iceberg italiano), dimenticata. Dimenticata come tutti gli italiani onesti, che lavorano, che pensano non solo a se stessi ma anche al bene comune, perché sanno che da lì viene il bene duraturo. Che vogliono pensare al bene dei propri e degli altrui figli. Che pensano al territorio non solo come qualcosa da profanare e sfruttare e possedere, ma come qualcosa di prezioso dove si deve vivere tutti. Che se lo tratti bene ti può dare da campare. A te e ai tuoi cari, che lì devono vivere. Lì hanno la loro sola unica casa e terra. Che non possono essere delocalizzati o trasferiti alle isole Cayman, o su un altro pianeta. Noi e le generazioni future. C’è un bisogno che cresce di opporsi sul serio alla invadente verità televisiva. Alla forza di un potere che non esita a usare qualsiasi mezzo (legale e illegale) pur di affermarsi e autoconfermarsi come sfruttatore di una Italia trattata come merce. Usando le istituzioni per trasformare la legalità a proprio uso e consumo in una serie di norme compiacenti solo verniciate di forma democratica e che gridano vergogna al buon senso e alla giustizia.

La disinvoltura con cui prostitute e trans frequentano i palazzi sacri della res publica come fossero i back stage dei locali a luci rosse, è solo una pallida indicazione, nella spudoratezza, di quanto marcia sia la gestione di tutta la cosa pubblica. Ogni riferimento alla caduta dell’impero romano è lecito.

Così questa lista nata da un reale e faticoso processo aggregativo è un piccolo e robusto fiore nel mare di merda. Gruppi politici che di solito coltivano la propria specificità, i propri simboli, i propri obbiettivi, che hanno i loro leader, hanno in questo caso fatto qualcosa di meraviglioso. Il Partito Umanista, Per il Bene Comune, i Democratici Diretti, Il partito del Sud, Rinnovamento Italiano, la rete dei cittadini per Aprilia, i comitati di cittadini di Cerveteri, Civitavecchia e altri, molti altri, sia singoli che collegati a questo o a quello. Hanno rinunciato a una egoistica speranza di egemonia e hanno cercato ciò che univa.

Abbiamo scoperto che molto ci univa. Molto sia negli obiettivi che nei metodi. Pure eravamo e siamo diversi in molte cose. Ma qualcosa di unico ci unisce. Il più potente degli strumenti organizzativi, capace di far stare assieme anche modelli sociali e obiettivi diversi: la DEMOCRAZIA.

Sì. Al di là di tutto ci unisce l’idea che solo la democrazia ci può salvare. Solo la democrazia vera, quella partecipata, quella diretta. Quella che vede il rispetto di ogni idea e di ogni testa. E non solo al momento delle elezioni, ma sempre. Anzi ancora di più dopo le elezioni. Noi dd abbiamo contribuito dando risposte a molte domande della serie: si la democrazia diretta è bella ma come si fa? Abbiamo sgombrato il campo da falsi miti. Ricondotto a pratica verità, che non esclude la delega ma la tiene sempre sotto controllo (chi legge questo blog, lo può sapere). Abbiamo portato, spero con umiltà, il patrimonio di ricerche e lavoro quotidiano fornendo strumenti e modelli. Altri ne inventeremo assieme. Altri, ne sono sicuro, verranno. La strada è ora tracciata. Potremo anche forse persino non farcela in queste elezioni regionali. Ma cresceremo ogni volta di più fino riprenderci la capacità di gestire al nostra vita, fino a riprenderci la sovranità perduta.